Lo sguardo inquieto

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Ivo Saglietti
(Torino, 1948) Nasce professionalmente come cineoperatore nella sua città. Nel 1975 comincia ad occuparsi di fotografia, lavorando nelle strade e nelle piazze della contestazione, e nel 1978 si trasferisce a Parigi. Inizia a viaggiare come fotoreporter, dapprima con agenzie francesi, poi per quelle americane e le grandi riviste internazionali (Newsweek, Der Spiegel, Time, The New York Times), per le quali copre in assignement situazioni di crisi e conflitto in America latina, Medio Oriente, Africa e Balcani. Nello stesso tempo lavora su progetti a lungo termine, a cominciare da Il Rumore delle Sciabole, reportage dal Cile di Pinochet (1986-1988) che diventerà il suo primo libro. Conquista il premio World Press Photo nel 1992 per un servizio sull’epidemia di colera in Perù, poi nel 1999 menzione d’onore per il reportage sul Kosovo, e di nuovo il premio nel 2011 per una fotografia su Srebrenica, Bosnia. Nel tempo si dedica sempre più a progetti di lungo termine, dal reportage sugli schiavi del Benin alle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica domenicana e di Haiti, a quello sulle tre malattie che devastano i paesi del terzo mondo (aids, malaria e tubercolosi); da quello incentrato sul possibile dialogo tra religioni attraverso l’esperienza comunitaria dell’antico monastero siro antiocheno di Deir Mar Musa el-Habasci (da cui la mostra Sotto la tenda di Abramo) a quello sulle frontiere nel Mediterraneo e Medio Oriente, per il quale sta attualmente lavorando. Dal 2000 è membro associato dell’agenzia fotogiornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen.

Esaurito

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Descrizione

Ivo Saglietti

Lo sguardo inquieto

Un fotografo in cammino

Dalla viva voce del suo protagonista, il libro ripercorre le tappe di un cammino, ad un tempo umano e professionale. Dai primi passi a Torino come cineoperatore, alle tante guerriglie centro e sudamericane degli anni ’80, lavora continuamente per l’editoria internazionale, dal Medio Oriente alla guerra nei Balcani, ai progetti a lungo termine su cui continua a lavorare, lo sguardo di Saglietti non è mai né distaccato né unicamente documentativo. Le sue immagini in bianco e nero sono attraversate da un’empatia e da un grande rispetto nei confronti dei soggetti ritratti. Sorretto da un forte senso etico — anche quando il suo cammino ha incontrato le realtà più violente ed efferate — nella sua fotografia non manca mai quell’attimo di umanità che nella sua visione deve sempre accompagnare il destino dell’uomo.

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